PRIDE, la scommessa di essere comunità vinta insieme ad Andrea

Scrivere della Karl e del Pride da quando Andrea ci ha lasciati sembrava una cosa difficilissima.
Oggi, invece, provo la drammatica esperienza di scrivere della Karl e del Pride senza più Andrea e senza nemmeno il Pride, almeno per come l’abbiamo conosciuto negli ultimi 26 anni.
Forse, però, proprio le circostanze straordinarie in cui ci troviamo rendono più sensato scrivere qualcosa del rapporto tra il Pride, la Karl e, per suo tramite, la nostra comunità. Proprio adesso che vediamo quello che per molt* di noi è “il giorno più bello dell’anno” svanire dai nostri calendari, lasciando al suo posto un vuoto con cui ciascun* di noi dovrà fare i conti quando arriverà quel giorno.

Quando la Karl raccontava del Pride del 1994, il primo in Italia, l’elemento dominante nelle sue parole era sempre lo stupore. Andrea non raccontava di quanto erano stupit* quel giorno, Andrea era ancora stupito nello sguardo e nella voce quando ne parlava.
“Una scommessa” era il modo in cui lo definiva. Non è difficile immaginare che, se quell’evento gli appariva ancora come una scommessa dopo più di 20 anni, nel 1994 l’idea che si trattasse di un rischio praticamente suicida per il movimento LGBT+ fosse la convinzione di molt*. Infatti quel primo Pride non nacque in una mozione congressuale ragionata, discussa e votata, ma nacque su un divano davanti a una canna.
Nulla di “politicamente concreto” suggeriva che era “il momento giusto”, non era stata pensata nessuna strategia. Era una scommessa, un azzardo. Una scommessa poi andata bene, ma sempre un azzardo.
Analizzare adesso i come e i perché una scommessa fatta 26 anni fa si rivelò un ottimo investimento non credo serva a molto, ma penso che possa essere utile ritornare su quello stupore.
Andrea, e con lui molt* altr*, raccontava che non credevano che la gente sarebbe scesa in piazza, non credevano che così tanta gente lo avrebbe fatto, eppure, arrivati a Campo de’ fiori, salito su un palco costruito con i tubi innocenti tra i sanpietrini sconnessi, vide una piazza quasi piena.
“Sì” aggiungeva poi “abbiamo fatto Pride straordinari e partecipatissimi da allora, però…” però il suo orgoglio e il suo stupore in qualche modo sembrava ancora là, a Campo de’ fiori il 2 luglio del 1994.

I perché di questo nostalgico attaccamento a quella data possono essere tanti e forse l’ultimo è che una delle due persone dietro la famosa canna che fece da levatrice a quella scommessa folle era proprio La Karl.
Senza dubbio Andrea non ha mai dimenticato quella sensazione perché è stata (anche) una sua vittoria, in un mondo in cui tant* dicevano che era folle cercare la piazza, che sarebbero stat* 4 gatti e che questo avrebbe pregiudicato per molto tempo il “potere contrattuale del movimento LGBT+ con la politica”.
Non andò così, ma chi ha conosciuto la Karl sa che amava il protagonismo quando si esibiva il palco, non tanto quando faceva politica, quindi non basta come ragione.
Probabilmente quel momento fu magico perché erano stati i nostri corpi a occupare quella piazza alla luce del sole. Non era una cosa scontata nel 1994, sicuramente in pochi si aspettavano che sarebbe stati così tanti. Eppure non era la prima piazza del movimento LGBT+, da oltre vent’anni attivist* LGBT+ in tutta Italia scendevano in piazza. Il FUORI aveva già mobilitato le coscienze. C’era già stata la protesta di Sanremo. Esisteva già da tanti anni un fantastico esperimento politico a livello nazionale: Arcigay. Il Cassero era già stato conquistato. Il MIT era già riuscito a far approvare una delle leggi all’epoca più progressiste per la comunità trans*. Esistevano già tantissime associazioni LGBT+ in tutta Italia e si facevano sentire, presidiavano i territori e occupavano le piazze. Il Circolo Mario Mieli, di cui Andrea faceva parte e che organizzò quel primo Pride nel 1994, già da più di 10 anni lavorava sul territorio, organizzava manifestazioni e offriva servizi alla comunità LGBT+. Il Pride del 1994, però, fu comunque straordinario, e non solo per il numero di persone che vi presero parte, ma perché già raccontava un modo di stare in piazza nuovo, il modo con cui i Pride ci portano in piazza ogni anno.
Perché il Pride è Politica e lo è in modo rivoluzionario. Dal 1994 il Pride ha portato le persone in piazza in maniera totalmente diversa rispetta al passato, lo ha fatto invitando le persone che vi prendevano parte a riconoscere la propria comunità, a prescindere dal livello di coinvolgimento o di approfondimento politico.
La politica del Pride è nelle sue piattaforme politiche, ma anche nella sua musica, nei suoi carri, nelle sue meravigliose e differenti nudità, nel ballare liber* per strada, nel limonare con gente a caso, nell’esserci in quel momento, nel riconoscersi in una comunità più ampia in cui un legame esiste a prescindere da tutto. Perché ciascun* di noi ha vissuto quel momento di sofferenza, grande o piccolo che sia stato, quando ha realizzato di non essere previst* nel mondo in cui viveva. Il Pride prende quel momento e lo ribalta, in questo diventando universale perché tocca un filo che ci lega tutt*. Lo prende e lo trasforma nell’orgoglio per le strade. Vendica quel momento in cui ci siamo sentit* sbagliat*, indesiderat*, incompres* e imprevist*. Fa sentire a chi scende in piazza che quel mondo che ci aveva traditi può essere conquistato, anzi, che è già nostro se scegliamo di prendercelo.

Ecco, credo che quella sensazione non potrà  essere rimpiazzata da nessuna delle favolose iniziative che, con tanto impegno, cercheremo di mettere in campo quest’anno. Non è semplicemente possibile.
Potremo scrivere documenti politici, potremo produrre cultura, potremo celebrare l’arte.
Potremo insomma continuare a fare quello che ciascuna organizzazione politica fa ogni giorno dell’anno, al servizio di un’idea di società e, soprattutto, al servizio delle nostre comunità e dei bisogni dei singoli, ma non potremo dare quella sensazione di stupore e, allo stesso tempo, di onnipotenza di chi mette almeno a posto i conti con la propria storia personale.
Non potremo e basta, e forse ha un valore politico anche questo. Probabilmente non mi sarei mai chiesto in maniera così intima cosa rappresenti il Pride per me speculando su ciò che fosse il Pride per la Karl. Probabilmente lo avrei solo vissuto, avrei provato quella sensazione di gioia e di orgoglio come faccio tutti gli anni senza chiedermi cosa significasse davvero tutto quello per me. E come me tant* altr* persone.

Non ho mai chiesto ad Andrea perché secondo lui il 2 luglio del 1994 fosse rimasto così impresso nella sua memoria, è una di quelle mille domande che mi girano nella testa da quando ci ha lasciat*.
Penso tuttavia che Andrea avrebbe risposto qualcosa del genere.
O forse no e mi avrebbe mandato a quel Paese.
La Karl, notoriamente, non andava molto per il sottile.

Valerio Colomasi Battaglia

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